Dare lo spazio giusto alle esperienze di alternanza scuola-lavoro agli esami di maturità
Esperienze che il ministro intende ridimensionare anche quantitativamente: “Arriveremo più o meno a metà delle ore di scuola-lavoro nei licei, gli studenti degli istituti tecnici ne faranno alcune di più, perché è un’esperienza che ha avuto risultati positivi ma è stata molto faticosa e non sempre funziona”. Poi aggiunge quello che appare il vero motivo delle sue riserve: “soprattutto non voglio che sia al centro dell’esame orale della Maturità perché quello è il momento in cui lo studente deve poter esprimere se stesso e le competenze acquisite con lo studio di cinque anni”.
Per la verità il decreto Milleproroghe si limita a spostare (prorogandoli di un anno) i termini stabiliti dalla L. 107 per l’entrata in vigore delle due principali novità riguardanti la maturità 2019 – quella riguardante l’inserimento dell’alternanza nel colloquio e l’aver sostenuto le prove Invalsi del quinto anno come requisito per l’ammissione all’esame (resta la terza novità, ovvero la soppressione della ‘terza prova’). Per le modifiche all’alternanza di cui parla il ministro (diminuzione del numero di ore: in una successiva intervista a Radio Capital ha parlato di “strumento prezioso, anche per orientare i ragazzi. Le riduzioni non saranno drastiche, ma logiche e ponderate”) occorrerà emendare la legge 107, e altre norme serviranno per ridurre il suo peso nell’esame di maturità.
Soprattutto dovrà essere corretto, quasi inevitabilmente in senso neoconservatore, il fondamento culturale che ha ispirato l’inserimento dell’alternanza nella ‘Buona Scuola’. Un’operazione che aveva trovato spazio, anche se in chiave marcatamente didattica, già nella riforma Moratti (2003), ma i cui precedenti culturali risalgono agli anni settanta dello scorso secolo, quando Thorsten Husèn (e Aldo Visalberghi in Italia) proposero un modello di riforma scolastica, e sociale, fondato sulla alternanza e interazione tra le unità di studio e quelle di esperienza – a partire dalla scuola secondaria se non prima – ponendola come fondamento e presupposto di una società democratica fondata sulla rotazione verticale delle mansioni durante il corso della vita in un continuo intreccio tra studio ed esperienza, apprendimento e lavoro. Una problematica che la digitalizzazione dei processi formativi, parallela a quella dei processi produttivi, rende oggi di grande attualità, ponendo in termini nuovi e diversi la questione dell’apprendimento permanente e della integrazione tra saperi e tecnologie, tra scuola e lavoro.
Declassare l’alternanza a qualcosa di diverso ed estraneo alla dimensione educativa – ma di questo nessuno ha mai parlato – significherebbe guardare indietro, molto indietro, a un’Italia premoderna.
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