Una didattica centrata sull’acquisizione di specifiche competenze spendibili nel mercato del lavoro a breve termine
In un articolo pubblicato nel numero di gennaio 2018 della rivista mensile Tuttoscuola, rilanciato da tuttoscuola.com (“La professione degli insegnanti: l’unità e il cattivo infinito”), Benedetto Vertecchi, autorevole pedagogista, critica duramente il cedimento su saperi complessi e “di lunga durata”, che accompagnino gli individui nel corso della vita, sostenendo che “una simile pedagogia degli affari non ha nulla a che fare col canone dell’educazione occidentale”, che è fondato sui classici della cultura pedagogica, da Erasmo a Comenio, Rousseau, Locke e ai tanti altri che tra Ottocento e Novecento “hanno conferito sistematicità ai diversi aspetti dell’educazione ponendo le basi per una comprensione sempre più approfondita delle esigenze degli allievi con riferimento al mutare delle condizioni di vita”.
Nel mirino del pedagogista stanno soprattutto i tanti “corsi e corsetti in grado di rilasciare certificazioni che possano essere utilizzate per rendere più agevole l’accesso alla professione”, proposti agli aspiranti insegnanti da organizzazioni produttive “riconosciute idonee, non si capisce su quali basi, a intervenire in un settore così critico com’è quello dell’educazione”.
Queste attività formative complementari vengono presentate come idonee a fornire ai docenti ulteriori ‘competenze’, soprattutto in campo tecnologico, e/o a metterli in condizione di sviluppare specifiche competenze tra i loro alunni. In questo modo però “l’educazione è sospinta al conseguimento di traguardi a breve termine, dai quali esperti sprovveduti ritengono possano derivare benefici per il sistema produttivo”. Così non sarà, avverte Vertecchi, perché, come insegna l’esperienza, “Assistiamo alla rapida ascesa e all’ancora più rapida dismissione di proposte per l’apprendimento degli allievi che non riusciranno mai a dimostrare quell’utilità invocata e affermata come certa quando si è trattato di imporle alle scuole”.
L’insegnante competente, insomma, non è quello che possiede (e insegna) molte, frammentate competenze, ma quello che è in grado di governarle nel loro insieme, di ricondurle a una ratio unitaria, sulla scorta di quella cultura storico-critica e riflessiva che può essere costruita solo attingendo al patrimonio del canone educativo occidentale, centrato sull’unicità e sulla libertà del soggetto che apprende. Solo così l’insegnante del nostro tempo potrà evitare di restare schiacciato “sotto il maglio della globalizzazione”.
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