Lontani dalla soluzione delle criticità e assenza del punto di svolta
È la prima volta che in occasione delle elezioni nazionali i programmi delle principali forze politiche sulla scuola (almeno i pochi finora disponibili) si possono contenere in una sola pagina. Le diverse proposte sono presentate per sommi capi con un linguaggio per addetti ai lavori che vuole rivolgersi quasi esclusivamente agli insegnanti ed alla loro condizione lavorativa.
Si sa il nostro Paese è popolato perlopiù di anziani che della scuola non ricordano quasi nulla, ai giovani è meglio non parlarne perché sono arrabbiati con una scuola che hanno frequentato malvolentieri o addirittura ne sono usciti anzitempo e molti di quelli che l’hanno completata sono amareggiati a causa della disoccupazione. Gli insegnanti sono delusi da una politica che non li valorizza e li trascina in un vortice burocratico-dirigista, anziché sostenerli nelle quotidiane emergenze educative.
Il convitato di pietra è la legge 107 che da una parte viene sostanzialmente difesa, almeno da parte di chi l’ha voluta, e dall’altra se ne chiede una sostanziale revisione.
Il bersaglio più evidente di questo contrasto è la “chiamata diretta”, dispositivo introdotto dalla buona scuola per facilitare l’integrazione di competenze in relazione alla diversificazione dell’offerta formativa, vista, viceversa, come strapotere dei dirigenti scolastici e un modo per minare la stabilità del posto di lavoro. Dispositivo peraltro di fatto non applicato ad oggi. Continuare nell’immissione in ruolo dei precari non sembra più in cima alle priorità, si parla di un piano pluriennale, forse perché le due evidenti storture, come lo “scorribandare” dei docenti lungo tutto il Paese a seguito dell’assegnazione delle sedi e la questione dei docenti non laureati della scuola dell’infanzia e primaria, hanno creato disorientamento nella categoria e nell’opinione pubblica e quindi si preferisce occuparsi della permanenza nella sede di titolarità o della creazione di concorsi e albi regionali, per evitare la transumanza, ma sotto ci potrebbe stare anche la ripresa di un vecchio refrain: dare la preferenza ai residenti.
Sul versante degli studenti tiene banco l’alternanza scuola-lavoro: c’è chi la vuole mantenere obbligatoria e chi renderla facoltativa o legata più strettamente all’indirizzo di studi. Più in generale si parla di una pratica di qualità senza declinarne i requisiti. In questo ambito spicca la richiesta da più parti del miglioramento dell’istruzione tecnica: sarebbe ora che si pensasse ad una revisione complessiva di tutto il comparto e non solo alla riforma degli istituti professionali, tenendo conto di quanto sta avvenendo sul versante ministero del lavoro per ciò che riguarda il doppio canale all’italiana.
A livello di sistema sembra un gioco il sì o il no dato alla scuola superiore di quattro anni, pensando che si tratti solo di licei e senza guardare ad un complesso di percorsi che chiamano in causa i sistemi regionali, il confronto europeo ed il raccordo con la variegata formazione terziaria. A pochi interessa la riconsiderazione generale dei cicli scolastici.
Scuola competitiva e scuola inclusiva si fronteggiano dunque alle prossime elezioni, portando con sé l’appellativo di serietà o di buonismo, molto più comprensibili dall’elettorato.
Dei grandi mali di cui ci incolpano le ricerche internazionali: maggiori investimenti, stipendi europei al personale, dispersione scolastica, basso livello di laureati, eccessivi carichi finanziari per le famiglie, incertezza nei sussidi per gli studenti, disuguaglianza sociale nelle opportunità, nuova governance per le scuole, chi se ne occuperà ?… Alla prossima campagna elettorale.
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