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La cronaca ci offre quotidianamente esempi sul soffitto di cristallo che frena la parità di genere negli ambitii più disparati. All’elenco si aggiunge l’università come dimostra il rapporto “Analisi di genere” realizzato dall’Agenzia di valutazione Anvur. Da cui emerge con nitidezza lo svantaggio competitivo che continua ad attanagliare le ragazze e le donne. Le quali erano e restano maggioranza quando si tratta di immatricolarsi e di laurearsi o al massimo di seguire un dottorato di rcierca ma diventano via via minoranza quando in ballo c’è la carriera accademica. Con uno squilibrio che non registriamo invece negli altri Paesi. Quanto meno non nelle stesse dimensioni.
Più immatricolate e laureate
Il rapporto testimonia ancora una volta la maggiore propensione delle donne alla formazione di grado universitario, a partire dal numero di immatricolazioni che dal 2011 al 2021 superano quelle maschili di oltre 30.000 unità, con una percentuale femminile di matricole del 55% invariata negli ultimi anni.
I numeri confermano, poi, l’incremento graduale e costante della componente femminile nelle lauree biennali e, in particolare, nei percorsi di studio di durata maggiore (lauree magistrali a ciclo unico), come confermato anche dal numero di iscritti con un aumento delle laureate magistrali a ciclo unico dal 61,4% dell’anno accademico 2011/12 al 66,9% del 2021/22.
Qualcosa cambia invece nei corsi post laurea che non fanno registrare sensibili differenze tra i sessi per dottorandi e assegnisti di ricerca, rispettivamente del 52,2% e del 47,8% nel 2021/22, con un sorpasso degli uomini rispetto alle donne: il trend decrescente della componente femminile dal 2011/12 fino al 2020/21 e quello contestualmente crescente del numero di uomini, ha portato “eccezionalmente” alla perfetta parità di genere solo nel 2017/18.
IL GENDER GAP NEGLI ATENEI
Meno professoresse e rettrici
Il gap di genere si mantiene, come annunciato, anche in ambito di personale docente e di carriera. Con la più classica delle strutture “a forbice” che vede le donne in maggioranza fino al momento del dottorato di ricerca, a cui segue un classico collo di bottiglia proprio nella giunzione della posizione propedeutica al ruolo (tenure track), collocata in una classe di età cruciale per lo sviluppo della carriera.
Il numero di uomini e di donne è quasi coincidente per i ricercatori a tempo indeterminato, mentre la divaricazione inizia dai ricercatori a tempo determinato – quelli cioè che possono aspirare a una carriera, ndr – e proseguire in modo prima contenuto per i professori associati e poi più ampio per i docenti ordinari e per i rettori in carica. Rispetto al 2012, nel 2022 la percentuale di donne associate sale dal 34,9% al 42,3%, quella delle ordinarie dal 20,9% al 27%, quella delle rettrici dal 7,5% al 12,1 per cento.
La narrazione sul soffitto di cristallo, che poi tanto narrazione non è, si rafforza ulteriormente se guardiamo alla composizione dei Nuclei di Valutazione delle università: anche qui si registra una componente maschile maggiore rispetto a quella femminile (63,5% contro 36,5%) con una presenza, a livello geografico,superiore negli atenei del Centro e del Nord Ovest (rispettivamente 33% e 23%). Il numero di uomini resta sempre circa il doppio di quello delle donne (63% a 37%) ad eccezione del Nord Est dove la differenza scende a 54% di maschi e 46% di femmine.
Il confronto internazionale
Confrontando la situazione dell’Italia con il resto d’Europa, il rapporto rileva una percentuale di donne iscritte dal 2013 al 2021 nell’educazione terziaria, mediamente superiore al 53-54% con punte pari o superiori al 60% in paesi quali la Svezia e l’Islanda. In Italia il dato è superiore alla media europea (55,9% contro il 54,2% nel 2021), tuttavia in diminuzione di poco più di un punto percentuale dall’anno 2013 al 2018 (dal 57,1% al 55,5%) per stabilizzarsi nell’ultimo triennio intorno al 55-56% circa. Egualmente superiore da noi rispetto al Vecchio continenet è la presenza femminile nelle Scienze ingegneristiche, con un divario tra le due componenti di genere pari al 2% circa. Laddove resta piuttosto ampio il gap, per tutti gli anni considerati, tra le nostre iscritte in Italia ai corsi Ict rispetto alla percentuale europea (15,1% contro 19,7%), sebbene a livello nazionale ed
europeo, si osservi un progressivo e costante incremento della percentuale femminile.
Infine, per quanto riguarda la composizione per genere del personale docente universitario, in tutti i Paesi, eccetto la Lettonia, la percentuale di donne ha subito un incremento dal 2013 al 2021 con una forbice dei valori piuttosto ampia: si va dal 6% circa per la Slovenia, la Serbia e Malta all’1% di altri otto Stati, tra cui il nostro.
Le strozzature da eliminare
Nel commentare questi numeri la vicepresidente dell’Anvur, Alessandra Celletti, ribadisce: «La situazione di genere nei passaggi di carriera accademica mostra che le donne hanno maggiori opportunita’ all’inizio del percorso universitario, ma minori possibilità di realizzazione ai vertici della carriera accademica».
A sua volta il presidente Antonio Felice Uricchio fa notare di aver ritenuto «importante presentare come primo, tra i focus collegati al Rapporto Anvur 2023, illustrato al Parlamento scorso giugno, proprio quello sull’analisi di genere, che si colloca così nel solco della lunga tradizione negli studi di genere e nel contrasto alle disuguaglianze che vanta il nostro paese». Aggiungendo che il quadro completo delle carriere accademiche visto attraverso la composizione di genere «ci consente di osservare l’intero complesso del sistema della formazione superiore da una angolatura che non può che arricchire il complesso lavoro di valutazione del sistema universitario e della ricerca svolto dall’Anvur».
Alla ministra dell’Università, Anna Maria Bernini, e alla neo presidente della Conferenza dei rettori (Crui), Giovanna Iannantuoni, il compito di trarre le conseguenze di policy che un tale scenario richiederebbe.
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Il gender gap negli atenei: più donne iscritte e laureate ma la carriera resta difficile
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