12 Luglio 2019
Integrativi ai docenti: governo ai ferri corti
La tensione nell’ultimo vertice di Palazzo Chigi è rimasta altissima
I Cinque Stelle hanno condannato la «voglia di gabbie salariali» della Lega, il leader del Carroccio Salvini ha accusato Di Maio di «voler impedire di mettere un letto in più in un ospedale o un corso in più in una scuola» alle Regioni che hanno i soldi per farlo.
E i nuovi testi, figli dell’ultimo giro di riformulazioni, sono rimasti sul tavolo, oggetto di un vano tentativo di mediazione del premier Conte che è tornato a esaminarli articolo per articolo per poi stoppare ogni rischio di «allargamento del divario fra Regioni».
Scuola
Il pendolo dell’autonomia insomma sembra ripartire da capo in un tentativo di mediazione a tre fra Lega, M5s e governatori che sembra sempre più difficile. Anche perché nulla fa prevedere che i presidenti di Lombardia e Veneto, al centro dello scontro, metterebbero la firma in calce ai testi riveduti e corretti. Sulla scuola, l’ultima mediazione raggiunta al Miur mercoledì è una riscrittura integrale delle richieste regionali, che ha ridotto a 4 i 16 punti della penultima versione: niente ruoli regionali degli insegnanti, niente passaggio agli enti territoriali degli uffici scolastici che sono «regionali» nell’insegna ma statali nella titolarità. Sugli organici la regione avrebbe potuto fare tre cose: intervenire «d’intesa con gli uffici scolastici regionali» (quindi con il Miur) sul personale «con esclusivo riguardo alla quota destinata al potenziamento dell’offerta formativa», aumentare (con risorse proprie) il numero delle classi e finanziare (sempre con risorse regionali) il «fondo per il miglioramento dell’offerta formativa», con un intervento sugli integrativi che non è inedito perché già si può incontrare nella sanità. Sempre «d’intesa con il ministero», avrebbe poi potuto fissare «un periodo minimo di permanenza del personale docente nella prima sede di servizio» superiore ai cinque anni (prima erano tre) oggi previsti dalle regole nazionali.
Fondi
È stata la previsione di possibili incrementi nei fondi integrativi a innescare la discussione sulle «gabbie salariali» che ha cancellato sul nascere qualsiasi chance di successo dell’ennesimo vertice. Perché sono sempre le questioni economiche il materiale più infiammabile del negoziato infinito. Lo mostra la storia travagliata delle regole finanziarie, che oltre agli alleati di governo sembrano dividere lo stesso ministero dell’Economia. I Cinque Stelle premono per un fondo perequativo che redistribuisca fra le Regioni gli eventuali gettiti extra nelle tasse statali attribuite alle regioni ad autonomia differenziata. Il ministro dell’Economia Tria, che anche ieri ha preferito tenersi lontano dalla riunione, non sembra entusiasta dell’idea, mentre i tecnici hanno lavorato a ipotesi di flessibilità delle quote di tasse statali da regionalizzare. Anche perché prima di definire le competenze da trasferire è impossibile ipotizzarne il costo, e quindi appendere a delle cifre realistiche una discussione che altrimenti resta teorica.
Gli altri nodi
La sola istruzione vale quasi il 90% della spesa collegata alle funzioni al centro della trattativa con Milano e Venezia. Gran parte di quel che rimane riguarda le infrastrutture, cioè l’altro dossier in cui i tentativi regionali di avere l’ultima parola sulle concessioni hanno incontrato un muro che oggi pare invalicabile. E senza cifre certe il gioco dell’oca dell’autonomia torna alla casella di partenza, in attesa della prossima mossa.

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