30 Gennaio 2019
Nuovi prof dipendenti regionali
di Alessandra Ricciardi
Le trattative con Lombardia e Veneto sull’autonomia. Entro il 15 febbraio la proposta base. Mobilità quasi impossibile. Per tutti doppio contratto
L’istruzione rappresenta il pezzo da novanta dell’autonomia rafforzata di Veneto e Lombardia. Ed è forse il terreno su cui le maggiori difficoltà tecniche, il settore della scuola conta oltre un milione di dipendenti pubblici e interessa 8.200 istituzioni per 7,6 milioni di studenti frequentati, sono controbilanciare dalla maggiore affinità politica (leggi Lega) tra i governanti delle due regioni proponenti, Lombardia e Veneto, rispettivamente Attilio Fontana e Luca Zaia, e il ministro dell’istruzione, Marco Bussetti. Le trattative, alla luce delle richieste avanzate dai due presidenti, fanno capo al ministro degli affari regionali, la leghista Erika Stefani, che entro il 15 febbraio presenterà al presidente del consiglio dei ministri l’articolato su cui portare avanti l’intesa formale che poi si tramuterà in disegno di legge, uno per ogni regione.
Le regioni hanno chiesto espressamente che al trasferimento delle competenze faccia seguito anche il passaggio della titolarità del relativo personale (non lo ha fatto l’Emilia Romagna), e dunque docenti, Ata e personale amministrativo, anche quello delle direzioni scolastiche regionali. Si tratta di quasi il 23% dei dipendenti scolastici nazionali.
Fermandosi al solo dato dei docenti, si parla di circa 132 mila docenti per la Lombardia e quasi 65 mila per il Veneto. L’ipotesi ad oggi in campo è che i vecchi assunti restino nel ruolo statale. Mentre i nuovi assunti, che seguiranno una procedura selettiva regionale, entreranno da subito come dipendenti della regione. A tutti, a tutela dell’omogeneità nazionale del trattamento economico di base e dei diritti previsti, sarà applicato il contratto collettivo nazionale e un contratto integrativo regionale, che farà affidamento sulle maggiori risorse che la singola regione sarà in grado di stanziare per fronteggiare la caratterizzazione della didattica.
Fatto salvo il rispetto del programma nazionale, la regione potrà infatti integrare i programmi e pagare con l’integrativo le varie attività opzionali che saranno rese da docenti, dirigenti, amministrativi, bidelli. Sulla falsa riga di quanto finora già avviene con i contratti integrativi sottoscritti però a livello nazionale.
Si complica, se non diventare quasi impossibile, l’ipotesi di mobilità. Ed è questo uno degli effetti voluti della riforma: assumere a livello regionale docenti che sanno di dovervi restare senza vie di fuga dovrebbe soddisfare la richiesta di stabilità che giunge dalle scuole e dalle famiglie. In barba a vincoli triennali o quinquennali di permanenza sulla stessa sede con cui finora il legislatore ha provato (senza grandi risultati) a garantire la continuità didattica.
La strada perché la riforma diventi operativa è ancora lunga, ma che i rispettivi ddl facciano capolino in parlamento prima del voto delle Europee è convinzione diffusa nella maggioranza giallo-verde.
Fonte dell’articolo: Il Sole 24 Ore

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