Potrebbero essere 660mila i beneficiari di «quota 100» nel primo anno di applicazione
Per un costo, secondo le simulazioni della società Tabula, guidata da Stefano Patriarca, di 13 miliardi di euro nel 2019 che salirebbero a regime a 20miliardi. Oppure, potrebbero essere molti di meno, circa 350mila il primo anno, con una spesa di 8,5 miliardi di euro e circa 11 miliardi a regime.
Una forchetta piuttosto ampia, che da un lato (quello più “economico”) prevede solo l’introduzione di quota 100, con 62 anni di età; dall’altro lato (quello più “oneroso”), invece, abbina la riedizione di quota 100 alla possibilità di uscita con 41,5 anni di contributi a prescindere dall’età, abbassando il tetto rispetto a quanto in vigore oggi: 43 anni e 3 mesi di contributi per gli uomini; 42 anni e 3 mesi per le donne.
In entrambi i casi, il numero di uscite ipotizzate è di gran lunga superiore rispetto a quelle registrate dall’Inps nel 2017: 153.541 i ritiri anticipati nelle principali gestioni dell’Inps. Prendendo solo l’ipotesi più prudente le uscite sarebbero più che raddoppiate, +129 per cento.
Mettendo da parte la questione dei costi e della sostenibilità di queste misure per le casse dello Stato, di cui tanto si è parlato in questi giorni, chi potrebbe beneficiare di questa misura?
«Questa misura – spiega Giuliano Cazzola, giuslavorista esperto di previdenza – riapre le porte del pensionamento di anzianità ai baby boomers, ovvero a persone, in stragrande maggioranza maschi, residenti al Nord, entrati precocemente nel mercato del lavoro, rimastivi in modo stabile e continuativo e in grado ora di aver accumulato un’anzianità di servizio a un’età da anziani/giovani. Si tratta di centinaia di migliaia di lavoratori che si aggiungono a quanti vanno generalmente in pensione anticipata (in Italia, per quanto riguarda lo stock, nel solo mondo privato dipendente ed autonomo sono 4,2 milioni per un onere di 90 miliardi l’anno a fronte dei 4,7 milioni di trattamenti di vecchiaia per un ammontare di risorse praticamente pari alla metà)».
Le regioni in cui risiedono più titolari di pensioni di anzianità sul totale sono quelle del Nord Italia: Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna e Veneto, che occupano nell’ordine i primi posti della classifica. Gli ultimi posti sono invece per le regioni del Centro-Sud (Molise, Basilicata, Umbria, Calabria) e quelle a statuto speciale (Valle d’Aosta, Sardegna, Trentino-Alto Adige) a eccezione della Sicilia che si trova a metà classifica. In percentuale circa la metà dei titolari di pensione anticipata risiede al Nord (quasi il 20% in Lombardia), uno su cinque al Centro e il resto al Sud.
A beneficiare della nuova misura, poi, dovrebbero essere di più gli uomini, almeno stando all’identikit degli attuali percettori di pensione di anzianità. Il 78%delle pensioni di anzianità/anticipate sono infatti destinate al sesso forte.
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